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La favola dell'Undici



 - Mamma, come nascono le favole?

- Non lo so figlia mia, si leggono sui libri...

Ma io ne voglio una nuova, mamma, come nascono? Dove nascono?

- Allora... Per fare una favola ci vuole un eroe, ci vuole una magia, ci vogliono avventure.  Per fare una una favola ci vuole la memoria di qualcosa di bello, e poi ci vuole qualcuno che racconta!

- Dai mamma, raccontami una favola, una favola bella! Raccontami una favola tua!

- Allora... Fammi pensare... Tanto tempo fa, o forse ieri... No, questa era un'altra! Tanto tempo fa, o forse nel 1970, c'era una città che voleva brillare e un grande campo verde circondato da tribune alberate che si popolavano di giovani pieni di speranze, gioia e canti quando nel campo scendeva...

- Il principe Gigi? Ma questa la so, mamma!!! Raccontane un'altra!

- Tanto tempo fa, o forse nel 1990, un giovane condottiero pieno di sogni e talento...

- ... Guidava un drappello di eroi. C'era Lucio Lucio Lucio Bernardini, Mauro Mauro Mauro Valentini, Bibi Bibi Bibi Provitali... La so già!!! Raccontane un'altra!

- Figlia mia, la tua mamma non sa più raccontare storie nuove, raccontala tu! Ora tocca a te raccontare, tesoro, ché sei più brava di me... Io ti ascolterò, promesso!

- Tanto tempo fa, o forse un anno, in una città assolata e fiaccata da un caldo asfissiante, uno sparuto drappello di eroi entrava a testa bassa nei campi di Asseminello. Molti erano andati via, chi per volere, chi per destino, e chi era rimasto aveva lo sguardo spento dalla sconfitta e l'orgoglio in tumulto nascosto in fondo al cuore. Sapevano bene che un'altra sconfitta non sarebbe stata ammessa, ma non riuscivano a sentire sulla pelle l'ebbrezza dell'avventura ormai vicina, mentre premeva sui loro petti il peso cupo del dovere.

Iniziò il campionato e i nostri prodi eroi, senza la giusta guida, non seppero brillare. Alle paure si sommarono le delusioni, al peso del dovere si aggiunse la sensazione sempre più gravosa di non riuscire ad assolverlo. Il popolo mormorava, giudicava, urlava sempre più forte il proprio scontento e i suoi campioni si facevano sempre più piccoli e più scarponi.

Finché un giorno il governatore del Regno di Casteddu capì che ci voleva un condottiero nuovo che fosse capace di cambiare il corso delle strade apparentemente segnate dal destino.

Claudio, quando era giovanissimo, fu l'eroe che tanto tempo fa, o forse nel 1990... Ma questa favola già la sai, mamma, è vero! Vado avanti!

Tornò a Cagliari in un giorno d'inverno reso caldo dai sorrisi e dagli abbracci. Non era più un ragazzo, ma era diventato nobile  grazie a mille splendide avventure, saggio per le tante vittorie e le cocenti sconfitte. Era così nobile da essere ormai diventato Sir Claudio, ma rimaneva così tanto "uno di noi" da essere sempre "alè alè alè Claudio Ranieri". 

Disse parole sagge e gentili, disse parole piene d'amore.

Disse agli eroi e al loro popolo "risorgeremo".

Insegnò ai giovani eroi l'importanza della calma, il valore dell'equilibrio tra cuore e cervello.

Portò negli spogliatoi il profumo della sportività e della voglia di vincere. Insegnò a tutti quanto sono belli i colori del sangue e del cielo, quanto donano il rosso ed il blu agli animi intrepidi, e così i suoi ragazzi impararono ad amare una maglia e i suoi colori. 

Insegnò al popolo che i mormorii e i giudizi sono sterili e statici, che se si vuole essere tra i protagonisti delle favole bisogna cambiare il vento, soffiando tutti insieme. Dimostrò che un vento nuovo e fresco di entusiasmo può spingere uno sparuto drappello di eroi malconci fino a diventare gli spavaldi conquistatori di una finale magica.

Ma perché per una favola sia davvero una favola ci vuole una magia. È fondamentale la magia nelle fiabe, c'è scritto in tutti i libri di narratologia, non si scappa. Dovete saperlo e capirlo: perché si potesse realizzare una magia dovevamo passare per forza dai play off. Perché il campionato finiva il 19 maggio. 19 non è magico, è un numero anonimo, non poteva finire così. 

Doveva invece finire l'11 giugno. 

11, cosa bisogna aggiungere? 

Il numero delle rovesciate, della classe, il numero fragoroso del rombo di tuono, il numero così magico che non si può nemmeno più scrivere sulle maglie, dalla sua potenza. Un numero dal suono dolce e dal sentimento malinconico, numero di cose belle, di amore, di gioia, dolore.

11 a Bari. Nella cabala rossoblù dirlo troppo forte potrebbe causare terremoti, sprigionare la forza di mille magie.

E così fu, e l'11 regalò al popolo di Casteddu un nuovo numero magico, il 94. E scatenò un terremoto di gioia che colorò dalle fondamenta la città, con i colori forti e bellissimi del sangue e del mare, la riempì di canti e bandiere, di risate ed entusiasmo, e la città si sentì tutta un po' risollevata, e il popolo si sentì protagonista e i giovani eroi si sentirono fratelli e parte di un popolo. 

E ancora oggi i balconi sono colorati dalle bandiere rossoblù e c'è un signore che se ne sta sempre fermo in centro a guardare chi passa, e ora, con tutti i cantieri aperti è il primo degli umarel, e sembra, così dicono, che si chiamava Carlo quel signore, ma adesso ha preso in mano una bandiera e ha cambiato nome. 

Si fa chiamare Claudio adesso, ed è Felice.

E dopo un anno dall'inizio di questa storia gli eroi sono tornati ad Asseminello sentendosi una famiglia, e il popolo va all'aeroporto a salutare i nuovi eroi. E tutti hanno negli occhi la gioia e la voglia di giocare. 

Oggi è arrivato il mister, sir Claudio, e ha portato con sé una scia profumata di gentilezza e voglia di vincere.

E in attesa che i nostri eroi scrivano una nuova favola da tramandare di madre in figlia e di figlia in madre, e di padre, zio, padrino, di generazione in generazione, vissero tutti contenti e felici, come Carlo, ops, Claudio.

 Allora... era bella, questa favola?

- Bellissima! Te l'ho detto, figlia mia, sei più brava di me.

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Proemio

Il paradigma degli ottavi

  La vita è un po’ fatta così, dà e prende, un giorno ti manda una bella sorpresa e un giorno una brutta lezione, un giorno vinci un mondiale e un giorno ti prende un Embolo… C’est la vie, mes amis ! E la vita insegna, e della vita bisogna imparare l’arte, traendo spunto da ogni occasione. Avevamo in mente di rendicontare ogni minuto di questi Europei, ma partita dopo partita, sarà il caldo di questo strano giugno, sarà lo sgomento dell’ingresso del pallone su una semplice Volkswagen (noi non dimentichiamo, e diciamo forte e chiaro se fosse per noi in campo entrerebbero solo Rolls Royce), ad ogni gara mancava lo spunto, la magia, la polvere di stelle che rendesse necessario il racconto a fare immortali le gesta dei nostri eroi in pantaloncini. Fino a ieri. Più che una partita un paradigma e la sua dimostrazione. La perfetta applicazione delle regole che da anni andiamo predicando per lo più inascoltate. Regola n.1 : Il silenzio prepartita. Si può anche parlare degli avversari